foto: Domenica Melillo

Astinenza da cloro e piscina, influenze psicologiche e sulla salute legate alla chiusura degli impianti

La pratica sportiva nobilita lo spirito dell’essere umano, fortifica lo stato di salute ed educa, ma nonostante tutto è stata messa da parte con un secco “Non contate nulla”

Svegliarsi al mattino e sapere di non poter andare in piscina per il consueto allenamento, è più che frustrante. Questo impedimento forzato sembra quasi spingere il nuotatore medio verso una fase di depressione provocata da astinenza da cloro che nel leggerla così, soprattutto per quelli che non frequentano l’ambiente piscina e peggio ancora che non praticano attività sportiva nemmeno in forma amatoriale, non potrà mai essere compresa, anzi.

Di fronte a discorsi del genere qualcuno ci definirà pazzi, “fissati”, ma se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, allora è vero anche che la pratica sportiva nobilita lo spirito dell’essere umano e il nuoto, con la presenza dell’acqua che rappresenta una cornice non replicabile in nessun altro sport, potrebbe rappresentare l’essenza di questa visione.

Chi non frequenta l’ambiente piscina non potrà mai comprendere cosa stanno provando tutte quelle persone, bambini, giovani e meno giovani, a cui è impedito poter seguire gli allenamenti, il corso di acquaticità, quello per imparare a nuotare o quello per tenersi in forma.

In questo momento, in piena pandemia Covid-19 che ormai ci sta asfissiando da un anno, le preoccupazioni principali sono certamente rivolte alla salute fisica e alla crisi economica conseguente alle chiusure in forma di contenimento della diffusione di contagio che si stanno verificando un po’ in tutto il mondo, ma probabilmente, ed è solo una supposizione, si sta sottovalutando quanto possano pesare e influire psicologicamente su ogni individuo le chiusure, i lockdown e le limitazioni.

L’ultimo DPCM anti Covid che ha chiuso le piscine, fornendo la possibilità di poter funzionare a porte chiuse solo per gli allenamenti degli atleti che prendono parte alle manifestazioni di interesse nazionale, ha comunque inevitabilmente costretto moltissimi impianti alla chiusura forzata almeno fino ai primi di dicembre, imponendo un lungo e duro standby a tantissime persone.

L’influenza piscologica delle limitazioni e delle chiusure, che inevitabilmente ha conseguenze anche sullo stato di salute fisica oltre che mentale, si avverte sicuramente maggiormente tra gli sportivi, dagli atleti competitivi a quelli amatoriali, da quei giovani che inseguono il sogno olimpico rimandato di un anno proprio a causa del Coronavirus, a quelli che sognavano e inseguivano il loro primo campionato italiano assoluto, fino ai follemente appassionati master e ai corsisti amanti di quella mezz’ora al giorno in piscina.

Che lo sport fosse poco considerato in Italia, era un fatto già noto, ma in occasione di questa emergenza sanitaria sembra si sia voluto mettere un punto esclamativo sull’affermazione “Non contate nulla”.

Dai collaboratori sportivi ai gestori delle piscine e fino agli atleti e agli appassionati, nessuna di queste categorie ha ricevuto la considerazione che merita nello studio e analisi delle opportune misure di contenimento del contagio che per carità, sono assolutamente necessarie, ma la differenza di trattamento e più che altro di considerazione tra lo sport e qualsiasi altro settore industriale o non industriale, è stata fino ad oggi netta.

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Ma senza voler entrare nel merito degli aspetti economici legati alle “misure di sostegno” messe a disposizione del Governo, il principale punto di domanda si pone proprio sulla chiusura degli impianti sportivi.

Perché sono state sbarrate le porte di piscine e palestre seppure non c’è evidenza scientifica che rappresentino un luogo con un certo rischio di contagio tale da imporre loro la chiusura?

foto: Domenica Melillo

La chiusura degli impianti sportivi è fatta per limitare gli spostamenti delle persone? Allora in base a quali dati ufficiali si è giunti al risultato che gli spostamenti con mezzi pubblici sono impiegati per la maggior parte da persone che si recano in piscina e in palestra? E perché altri settori, lavorativi e non, non sono stati chiusi allo stesso modo seppure probabilmente sono proprio quegli altri che influiscono di più sull’utilizzo dei mezzi pubblici?

La chiusura delle piscine e palestre è stata decisa perché l’ambiente è considerato ad alto rischio di diffusione del contagio? Quale evidenza scientifica e quale prova giustifica questa scelta? Perfino i NAS sono dovuti tornare a casa a mani vuote dopo oltre 200 piscine controllate in merito alle norme anti covid e ai protocolli messi in atto.

Allora perché la chiusura allo sport che invece contribuisce fortemente al contrasto di qualsiasi patologia fisica e mentale?

La verità è che una risposta non ce la daranno mai e che dovremo resistere all’astinenza da cloro da soli, in attesa e nella speranza che si ritorni presto non alla normalità, ma almeno in piscina!

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Paco Clienti

Responsabile Redazione Swim4Life Magazine