Per poter fare bene alle Olimpiadi serve più unione, spensieratezza e meno social. Ai nostri tempi l’aspetto fondamentale era il divertirsi in gruppo, tutti insieme e spensierati, cose che oggi mi sembra di vedere meno.
Talvolta quello che si fa in vita riecheggia poi nell’eternità. È un chiaro riferimento alla citazione del famoso Gladiatore di Ridley Scott che corrisponde effettivamente a pura verità nel momento in cui vengono realizzate determinate imprese che entrano per sempre nella storia. In questo caso parliamo della storia che 16 anni fa scrisse Domenico Fioravanti conquistando due medaglie d’oro nei 100 e 200 rana ai Giochi delle Olimpiadi di Sydney diventando il primo italiano a portare a casa un oro a cinque cerchi per il nuoto dopo ben 100 anni di competizioni.
Indimenticabile la prima vittoria sui 100 rana, arrivata al termine di una gara straordinaria ed un testa a testa con i mostri sacri dell’epoca, Roman Sludnov, il russo che allora deteneva il Record del Mondo e lo statunitense Ed Moses, secondo miglior specialista mondiale di sempre. L’urlo liberatorio dell’Azzurro a fine gara, resterà per sempre impresso nella memoria di tutti gli appassionati italiani del mondo del nuoto, così come il secondo oro arrivato successivamente nei 200 rana, una doppietta senza precedenti alle Olimpiadi del nuoto che fu arricchita da un altro evento storico, visto che gli Azzurri a salire sul podio di quella gara furono addirittura due, con Davide Rummolo che conquistò la medaglia di bronzo.
Che voto dai a questi Campionati Italiani pre olimpici?
«Non saprei, diciamo un 6 e mezzo – 7 perché qualcosa di buono si è visto. In alcuni casi pecchiamo ancora un po’, come nella rana che è uno stile per il quale sono ovviamente più sensibile e nel quale in questo momento stiamo facendo più fatica rispetto agli stranieri. In generale, abbiamo comunque visto in questi giorni degli ottimi riscontri da parte di Sabbioni, Detti, Codia e Rivolta nel delfino, Dotto nei 100 stile che si è risollevato dopo un periodo un po’ complicato e la Carraro nel finale. Non dimentichiamo Paltrinieri che secondo me sta bene. Abbiamo in nazionale una squadra con degli ottimi elementi, anche se non bisogna dare nulla per scontato. Non siamo ai livelli di altri Paesi molto più blasonati di noi e quindi non paragoniamoci ad altri, ma nel nostro, stiamo facendo discretamente bene.»
Come vedi invece la tua rana in campo maschile sulla strada che porta a Rio?
«La vedo un po’ in difficoltà. Mi sembra di vedere un livello ormai standard, nel senso che non c’è più un atleta che ti realizza una prestazione isolata e che determina un divario netto rispetto agli altri. Un po’ tutti i ragazzi sono sullo stesso livello e manca se vogliamo l’acuto. In questi campionati, per quanto riguarda i maschi, c’era la speranza di poter scendere sotto al minuto per poter dire qualcosa a livello internazionale.»
Fabio Scozzoli era stato disegnato come il tuo erede ma è dall’infortunio di due anni fa che non è ancora tornato quello di una volta, anche se gli ultimi risultati fanno ben sperare. L’Italia deve continuare a puntare esclusivamente in una sua completa rinascita, o possiamo aspettarci anche qualcun altro?
«Il brutto di quando sei atleta sono proprio gli infortuni. Nel caso di Fabio, come all’epoca accadde a me, l’infortunio ti cambia ed è difficile tornare com’eri prima. Nel mio caso, quando mi operai alla spalla, nonostante le rassicurazioni del medico che mi tranquillizzava e mi esortava a fare tutto come prima, avevo sempre il pensiero e la paura di potermi fare di nuovo male e questo mi limitava non poco. Mi dispiace perché Fabio essendo un perfezionista della tecnica e che si dedica molto intensamente al nuoto, sta vivendo sicuramente una fase molto difficile. Anche esteticamente si vede che è un po’ lontano dallo Scozzoli dei tempi migliori. In ottica futura abbiamo sicuramente qualche giovane interessante come Martinenghi e Antonelli, però manca qualcosa a questa rana, sia a livello muscolare che estetico. Vedo atleti più muscolosi rispetto al passato, con molta attenzione rivolta più alla forza che alla tecnica. Personalmente io sono sempre stato amante della tecnica rispetto alla forza, essendo cresciuto con Paolo Sartorio e Alberto Castagnetti che hanno sempre creduto prima di tutto nella tecnica: prima di andar forte, bisogna saper nuotare bene per evitare di fare più fatica nella nuotata.»
Sono trascorsi 16 anni dalla tua doppia vittoria nella rana olimpica. Come è evoluta la biomeccanica e la tecnica della rana in quest’ultimo ventennio?
«Quello che abbiamo fatto noi alle Olimpiadi di Sydney nel 2000 è stata una cosa più unica che rara e siamo stati anche fortunati pensando alle sei medaglie conquistate in un’unica edizione. C’è stato un insieme di cose che hanno reso quella spedizione la più ricca di sempre, una tra tutte la forza del gruppo. Noi eravamo davvero molto uniti, eravamo amici, c’erano meno gelosie e c’erano sicuramente meno galli nel pollaio. Si pensava solo a stare bene insieme e a come divertirsi, chiaramente non venendo mai meno alle nostre responsabilità. Oggi è tutto molto più social, molto professionistico ed i ragazzi sono meno spensierati.
Tornando alla rana, oggi si è evoluta tanto, basti pensare che dal 2000 in poi si è rotto il muro del minuto e si è andati fino al 57”9, tempi che qualche anno fa erano fantascienza. Il fisico del ranista di oggi è differente rispetto a quello di un tempo, quando si nuotava più di tecnica che di forza. Il britannico Adam Peaty ne è l’esempio lampante, ragazzo bassino ma con un fisico statuario che fa della forza la sua arma migliore. Non vedo ad esempio nuotatori come Kōsuke Kitajima che dopo di me ha costituito una via di mezzo tra la tecnica e la forza.»
Dopo la tua storica impresa di Sydney, la migliore olimpiade di sempre per l’Italia, quanto tempo pensi debba ancora trascorrere per vedere una medaglia olimpica Azzurra nella rana e un’edizione dei Giochi positivamente a nostro favore?
«Non saprei dirti quanto tempo bisognerà aspettare ancora per la rana. All’epoca nessuno pensava che si potesse arrivare ad una medaglia d’oro. Magari Roma 2024? Bisogna comunque ricordare che tutto ciò che conta è il giorno della finale. Tutto ciò che arriva prima, in fin dei conti non è determinante, basti pensare il mio caso nel quale partivo sfavorito rispetto ad altri che a due mesi dai Giochi si rubarono il Record del Mondo l’uno con l’altro. In finale poi io arrivai ad un decimo dal record conquistando però l’oro. Anche l’esempio di Rummolo che in quell’Olimpiade fu ripescato, è significativo. In quel caso fu Castagnetti ad avere una grande intuizione dandogli fiducia. Oggi non riesco ad immaginare un Italiano così in alto dato che gli stranieri sono troppo più avanti adesso.»
Rosolino ha detto che ad oggi è cambiato qualcosa rispetto a quando eravate voi a giocarvi il posto per le Olimpiadi, ma ha anche sottolineato che l’evoluzione dello sport dovrebbe in ogni caso mantenere sempre la gioia di potersi divertire. Tu cosa ne dici?
«Sono molto in linea con quanto dice Massimiliano. Come dicevo prima, ai nostri tempi c’erano atleti più o meno attenti e seri, ma l’aspetto fondamentale era il divertirsi in gruppo, tutti insieme e spensierati, cose che oggi mi sembra di vedere meno. Vedo nutrizionisti e fisioterapisti per ogni atleta, quando ai miei tempi ce n’era forse uno. Noi eravamo molto più ruspanti e tutti sapevano adattarsi alle situazioni. Oggi mi sembra che siamo un po’ più fragili sotto certi aspetti, vedo molti più litigi, incomprensioni e invidie che prima non c’erano. Io ricordo che a Sydney abbiamo iniziato subito bene. Sull’onda dell’entusiasmo proprio la nostra unione ha costituito la nostra forza.»
La meta olimpica è comunque un sogno per ogni atleta. Come lo vede oggi a distanza di anni, un atleta che vi ha partecipato ed ha anche vinto?
«Sinceramente non ricordo più bene tutto. Qualcosa c’è, è difficile dimenticare, ma sembrerà assurdo, io ho vissuto quel sogno in maniera molto diversa da come si possa immaginare dall’esterno. Andai a Sydney senza pretese e mi resi conti dell’impresa che avevo fatto solo quanto quando rientrai in Italia. La fortuna di essere un outsider è proprio questa, partire senza pressioni, con molta libertà e leggerezza mentale in modo che tutto ciò che viene, è tanto di guadagnato. Ovvio che quando arrivi in finale sei più consapevole di quello che puoi fare. In quel momento cambia tutto, cambia il modo di vedere le cose, la vita, gli orizzonti e affronti le gare con una determinazione diversa. Per me è stato così!»
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