«Andare a seguire un Campionato di Nuoto Paralimpico può aprire la mente a tante persone, diversamente abili e non», lo afferma la dottoressa Michaela Fantoni, psicologo sportivo della Federazione Italiana Nuoto Paralimpico
Gli equilibri nello sport paralimpico sono molto delicati per un atleta, affinchè sia in grado di poter tirare fuori il meglio dalla propria prestazione e questo vale per l’aspetto fisico quanto per quello psicologico. Dall’intervista realizzata alla dottoressa Michaela Fantoni (nella foto di copertina tra Alessio Sartori e Romano Battisti dopo il loro argento ai Giochi Olimpici di Londra 2012), che oltre alla formazione clinica possiede una formazione in psicologia dello sport che le permette di lavorare con gli atleti anche sulla preparazione mentale, l’aspetto più lampante che è emerso è che il segreto dello sport paralimpico è quello di notare esclusivamente le diverse abilità di un atleta, al punto da non fare più caso alla sua disabilità.
Lo psicologo dello sport è una figura sempre più importante nel mondo dello sport. Questo tipo di supporto assume un valore specifico nel nuoto paralimpico, in cui non si lavora certamente sulla disabilità, bensì sulle differenti abilità degli atleti che praticano la disciplina acquatica, rendendo quindi indispensabile un approccio specifico per l’atleta oltre che per il tipo di sport praticato.
L’obiettivo di uno psicologo sportivo è di incrementare tutte le abilità possedute dall’atleta diversamente abile affinché quell’atleta possa tirare fuori il meglio dalla propria prestazione, ma quali sono le basi necessarie affinché questo lavoro possa essere utile al fine della performance?
«Sicuramente è importante conoscere bene l’atleta e le sue risorse, le sue potenzialità e gli aspetti della prestazione che vuole ottimizzare. Con questa base di partenza possiamo lavorare per aiutare l’atleta a utilizzare delle strategie mentali efficaci, che possano far emergere il suo potenziale, confermare le sue qualità e migliorare eventuali criticità»
Un esempio pratico del tipo di supporto che riesci a fornire agli atleti?
«Faccio fatica a fare degli esempi perché il lavoro che svolgo è davvero molto specifico in base all’atleta, ma uno dei tanti che posso farti riguarda il trovare strategie per alleviare la fatica dell’atleta durante gli allenamenti: spesso un suggerimento che viene dato anche dagli allenatori, per alleviare mentalmente gli sforzi di un allenamento lungo, può essere quello di chiedere ai propri atleti di contare le bracciate o le vasche, ma è possibile consigliare più di una strategia mentale per raggiungere il medesimo obiettivo. Posso ad esempio proporre di contare le vasche differenziando il conteggio sul numero di bracciate, sul ritmo della respirazione, o su un particolare del gesto tecnico, focalizzando l’attenzione su due o tre cose diverse, così da non far stancare mentalmente l’atleta. Contare esclusivamente le bracciate per cinquanta vasche può dare la sensazione di fatica mentale, mentre spostare il focus su di diversi aspetti, uno alla volta, alleggerisce, incrementa la concentrazione e favorisce il raggiungimento di piccoli obiettivi. Ricordo che una volta sono riuscita ad aiutare un atleta che lavorava in sala attrezzi e mal sopportava le ripetizioni di sollevamento pesi, suggerendogli di contare le ripetizioni al contrario, dandogli così la sensazione di lavorare in “discesa” e non in “salita”»
In ambito nuoto, quale atleta ti ha maggiormente affascinato?
«Ogni atleta mi affascina per le sue caratteristiche e modo unico e speciale di essere e quindi è difficile preferire un atleta in particolare. Posso dirti ad esempio che Arjola Trimi ha secondo me una forza mentale pazzesca perché ha degli automatismi molto singolari, così come Arianna Talamona mi affascina per la sua determinazione. L’ho conosciuta in un momento difficile per lei e mi ha colpito la sua caparbietà nel mettersi in gioco. Ma potrei farti esempi per tanti altri, tutti unici e affascinanti per un loro personale motivo»
Qual è la parte più bella del tuo lavoro?
«Tentare di entrare in relazione con loro per conoscerli veramente. Premesso che penso che il lavoro che svolgo con gli atleti sia un lavoro di squadra con loro e che i risultati che si ottengono sono un risultato di squadra e non personale, provo tanta soddisfazione ogni qualvolta riesco a permettere a un atleta di trovare utilità nel supporto che riesco a fornirgli. Mi è capitato alcune volte che un atleta mi dicesse di non aver bisogno dello psicologo e che poi dopo un po’ di tempo mi confessasse di essere riuscito a fare meglio un certo lavoro grazie ai consigli che ero riuscita a dargli. Questo è davvero molto gratificante»
L’attività che svolgi ha bisogno di trovare continuità nell’arco della stagione?
«Dipende dal tipo di progetto impostato. Nel caso della Federazione Italiana Nuoto Paralimpico, ci siamo posti un obiettivo che predilige chiaramente gli ultimi due anni olimpici in cui si lavora inevitabilmente di più, ma questo prevede un certo tipo di impegno anche precedente, per gettare le basi e fare in modo di arrivare preparati agli eventi, stagione dopo stagione»
Spostandoci dal settore competitivo a quello amatoriale, quanto può essere importante praticare nuoto sotto l’aspetto psicologico per una persona diversamente abile?
«Credo che l’acqua abbia un valore aggiunto, nel senso che aiuta a lavorare diversamente sul proprio corpo. Per esperienza devo dire che la riabilitazione in acqua mi è servita molto di più delle altre terapie fatte dopo aver avuto un incidente. Mi capita spesso che un atleta disabile mi dica che in acqua si sente molto meglio e a suo agio e questo non è certamente un caso. Da un punto di vista psicologico, l’acqua riesce a farti sentire bene e consente di aumentare la percezione di efficacia; questo fa si di incrementare la motivazione e da lì si innesta un meraviglioso e fondamentale circolo virtuoso che aiuta la persona a lavorare meglio e di più e a guadagnare qualcosa anche nella vita di tutti i giorni»
Cosa diresti a chi magari ha timore di avvicinarsi al nuoto soltanto perché ha una disabilità fisica?
«Gli direi che ognuno è bello per la sua diversità. Poi chiaramente bisognerebbe entrare nel merito e capire perché quella persona ha perplessità a praticare nuoto, ma sinteticamente posso dire che andare a seguire un Campionato di Nuoto Paralimpico può aprire la mente a tante persone, diversamente abili e non»
È vero che lo sport può aiutare una persona a fare meglio nella vita quotidiana?
«Si! La frase fatta è che lo sport è formativo, ma è vero: ci insegna a lavorare per obiettivi, a rispettare le regole e a preparare una prestazione di qualsiasi tipo. Preparare un colloquio di lavoro, un esame universitario, o anche realizzare un’intervista, sono tutte a loro modo delle prestazioni e se si pratica uno sport si è certamente più allenati a lavorare per ottenere il miglior risultato possibile. Lo sport ti insegna inoltre a gestire lo stress e a gestire i risultati positivi, non solo quelli negativi, perché non è facile nemmeno essere un campione»
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