La rapidità non dipende solo dalla forza
Per poter comprendere cosa c’è alla base dei nostri sforzi, dei nostri miglioramenti ed anche dei nostri insuccessi, è necessario capire che nuotiamo e ci spostiamo in un elemento fondamentalmente inusuale per gli Esseri Umani, abituati a muoversi nell’elemento “Aria”. Al contrario infatti dei movimenti che compiamo quotidianamente, l’elemento “Acqua” richiede un adattamento ed una propulsività differenti.
Col termine di locomozione si intende la capacità di spostarsi all’ interno di un elemento ed i mezzi utilizzati a tal fine.
La Legge fondamentale della locomozione recita che ogni essere vivente, per poter spostare la propria massa ad una data velocità, deve poggiarsi su un’altra massa.
La locomozione sulla terra ferma si avvale del solo movimento degli arti inferiori, ma presuppone comunque un’organizzazione interna di tutto il corpo. Meritatamente agli arti locomotori, distinguiamo due fasi in rapporto al suolo:
- il volo;
- l’appoggio
Il volo è la fase in cui il piede si stacca dal suolo, fino al momento in cui vi riprende contatto. Vi si verifica un’iniziale flessione di tutti i segmenti dell’arto inferiore, con lo scopo di allontanarsi dal suolo, cui fa seguito l’estensione degli stessi per riprendervi contatto.
L’appoggio invece è la fase di contatto col suolo e comprende anch’essa due sottofasi:
- flessione di tutti i segmenti dell’arto inferiore, allo scopo di accumulare energia nei tendini e nei legamenti;
- estensione allo scopo di staccarsi dal suolo.
Nella corsa dunque l’estensione costituisce la forza propulsiva vera e propria del ciclo ed essa scaturisce dal contatto col suolo che risulta un punto di appoggio solido, consistente ed avente massa infinita. La forza motrice è ritmica e periodica, caratterizzata da spinte continue ed intermittenti che spingono il corpo però con movimenti obliqui rispetto al suolo. È pertanto la spinta del piede sulla terra che consente la progressione del corpo: ciò, come si può facilmente constatare, non è realizzabile sul ghiaccio, in quanto il piede scivola e non esercita la necessaria propulsione. Nella marcia ciascuna gamba esercita alternativamente due ruoli: uno di sostegno, l’altro di spinta; infatti, mentre un piede esercita una spinta, l’altro si prepara a sostenere il peso del corpo, finché diverrà esso stesso propulsore.
La locomozione in acqua – come nuotare velocemente
Cosa succede invece in acqua? Cosa avviene quando l’uomo è immerso in un mezzo fisico che è deformabile e non comprimibile? E’ chiaro che la massa entro la quale il nuotatore cerca di spostarsi, è soggetta alle stesse leggi naturali cui siamo sottoposti sulla terra: la massa liquida su cui un nuotatore cerca di esercitare una spinta, viene messa in movimento nella direzione e nel senso della spinta, anche se il liquido è dotato di una certa inerzia. Il nuotatore deve quindi penetrare attraverso l’acqua (funzione proiettiva) ed allo stesso tempo spingersi (funzione propulsiva). Per fare questo deve vincerne la resistenza che ha sul nostro corpo un effetto uguale e contrario: l’acqua infatti impedisce ma permette al tempo stesso di avanzare. La resistenza che l’acqua offre all’avanzamento presenta quindi una complessità dovuta sia alla duttilità dell’elemento, che all’allineamento del corpo in acqua ed alla galleggiabilità. Vedremo più avanti infatti che l’elemento resistenza è molto più articolato e consta di tre fattori principali.
Dunque il corpo di chi nuota è sospeso, mantenuto dall’inerzia del “mezzo” in cui galleggia: le azioni motrici pertanto non devono né mantenere né elevare il baricentro, come nella marcia. La propulsione, generata dal movimento di gambe e braccia, deve superare la resistenza opposta dall’acqua e l’inerzia del corpo. Ma rispetto agli animali, come ad esempio una foca o un delfino, l’uomo ha una minore superficie di contatto propulsiva con l’ acqua, in quanto limitata esclusivamente ai nostri arti che costituiscono un’area d’impatto decisamente inferiore rispetto alle pinne degli animali.
È perciò importante limitare al massimo gli errori nella tecnica di nuotata e rendere il nostro corpo il più idrodinamico possibile, in modo che si disallinei il meno possibile durante la creazione del movimento propulsivo!
Per conservare il più a lungo possibile certi benefici, il nuotatore, nel momento in cui impatta con l’acqua (tuffo, virata), deve rendersi “proiettile”: assumere cioè una forma idrodinamica, tale da tonificare il proprio corpo, senza che questo sia deformato e favorirne così lo scorrimento.
Sappiamo che un nuotatore deve spostarsi sotto la superficie dell’acqua: infatti un corpo che si sposta alla velocità di 9 km/h, se non completamente immerso, trova una resistenza del 30% in più da vincere, consumando il doppio dell’energia. I migliori nuotatori sui 100 metri superano i 7 km/h.
Il segreto è quindi quello di essere veloci consumando meno energie possibili ed è qui che entra in gioco la tecnica e non la forza!
Il problema della locomozione consiste nel conservare la velocità di spostamento che si ha al momento in cui si smette di essere proiettile, per diventare propulsore. Il problema è che in genere la distanza da percorrere supera la possibilità di apnea, per cui c’è da trovare il giusto equilibrio tra l’immersione totale e l’uscita dall’acqua.
Le sequenze che avvengono fuori dall’acqua in maniera intermittente e parziale, hanno scopi diversi: garantire carburante (aria), raccogliere informazioni visive per lo spostamento, infine permettere il recupero delle braccia.
Nell’acqua invece vige il principio per il quale si ottiene una maggiore efficienza, spostando una grande quantità di acqua per un breve tratto. In base a ciò i movimenti elicoidali consentono al nuotatore di ottenere un‘efficienza maggiore rispetto ai movimenti lineari.
Negli ultimi anni i miglioramenti di maggior rilievo si sono avuti lavorando anche sull’aumento della propulsione; fermo restando che il fattore principale di miglioramento è di peso dalla tecnica, l’aumento specifico della forza e della potenza muscolare, consente indubbiamente al nuotatore di esercitare una maggiore forza propulsiva. Oggi infatti quasi tutti gli agonisti eseguono esercizi supplementari atti a migliorare la forza resistente e la forza rapida.
Il condizionamento fisico svolge un ruolo fondamentale sia nella riduzione della resistenza passiva che nell’aumento della propulsione. Consente al nuotatore di mantenere la propulsione a
livello elevato e la resistenza passiva al livello più basso possibile nel corso della gara; quando sopraggiunge la fatica, il corpo del nuotatore perde in idrodinamicità. Pertanto tanto più bravo è l’atleta a mantenere un’elevata propulsione riducendo la resistenza, tanto migliore sarà la sua performance. E questo lo si ottiene con l’allenamento più che con la biomeccanica.
Da quanto detto finora, si evince che la velocità di un nuotatore è quindi il risultato di due forze: la resistenza, opposta dall’acqua che deve essere spostata, e la propulsione, che spinge in avanti ed è generata dalla contrazione muscolare.
Analizziamo ora singolarmente i fattori Resistenza, Propulsione e Sostentamento.
Resistenza
Sono stati individuati tre tipi di resistenza in acqua:
- Resistenza frontale, è la resistenza che si oppone all’avanzamento, causata dall’ acqua che viene in contatto con la parte anteriore del nuotatore. Questo tipo di resistenza va tenuta in considerazione quando si parla della tecnica di nuotata;
- Attrito superficiale, è la resistenza causata dall’acqua che aderisce al corpo del nuotatore. Molti sono soliti radersi corpo, arti e qualcuno anche il capo per ridurre l’attrito superficiale. I costumi sono sempre più performanti e volti a ridurre l’attrito superficiale. Il rituale della rasatura entra a far parte del tapering, cioè quella fase di riposo e scarico del lavoro in vista di manifestazioni importanti. Nulla si sa di certo in proposito, né vi sono evidenze scientifiche al riguardo: è vero che si osservano tempi migliori, ma in gioco potrebbero entrare altri fattori come la minor resistenza provocata dalla propulsione, una migliore sensazione in acqua provocata dalla meccanica di bracciata, oppure il complesso processo del tapering suddetto. Poiché non vi sono evidenze al riguardo e sembra essere efficace ai fini dei risultati, la si consiglia;
Resistenza di vortice, è causata dall’acqua che non riesce a scivolare in modo lineare dietro alle parti del corpo scarsamente idrodinamiche. Il tentativo di ridurre la resistenza frontale è teoricamente responsabile dell’aumento della resistenza di vortice. Un corpo disallineato in acqua può provocare un aumento sia della resistenza frontale che laterale. Se i fianchi e le gambe oscillano a destra e sinistra, sia la resistenza frontale che di vortice, aumentano.
Per ora ci fermiamo qui. Nella prossima puntata analizzeremo quindi la Propulsione ed il Sostentamento, prima di tirare infine le conclusioni dell’argomento biomeccanica del nuoto.
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